Quanto è distruttivo un JPEG?

Il JPEG è lo standard di compressione immagini più diffuso (e quasi incontrastato nel web).
Ma in camera, quando si scattano le foto, e a casa, quando le si sviluppano in camera chiara, si può usare o si dovrebbe evitare, ricorrendo a formati non distruttivi?
La risposta è ovviamente a favore dei formati non distruttivi, quali il TIFF, il PSD e compagnia bella ma c’è chi, sotto la bandiera di una comodità d’uso e di una ‘snellezza’ nella memorizzazione (un JPEG arriva a pesare molto meno di uno dei formati prima citati, senza calcolare l’eventuale presenza di livelli aggiuntivi), ritiene il JPEG un compromesso accettabile.

Ho pensato a questo articolo per mostrarvi come un’immagine, a differenti livelli di compressione, venga modificata e si deteriori.

Per far questo, utilizzerò un’immagine campione e l’ausilio del software di elaborazione Photoshop CS5 ed un particolare metodo che consentirà (visivamente) di determinare le variazioni tra l’immagine originale non compressa e le sue versioni in formato JPEG.

Farò tre esempi, a differenti compressioni: compressione 0 (la peggiore), compressione 6 e compressione 12 (la migliore). Per ognuna di queste immagini, vedremo anche la propagazione dell’effetto distruttivo della compressione, verificando il decadimento dell’immagine a seguito di salvataggi successivi (come avviene quando, dopo aver salvato un’immagine in JPEG, la si riprende, la si rielabora e la si salva nuovamente nello stesso formato, introducendo ulteriori artefatti).
Per determinare gli effettivi artefatti introdotti, prenderemo ad esempio una zona dell’immagine e applicheremo un livello di fusione DIFFERENZA tra l’immagine originale non compressa e quella salvata in formato JPEG.
Il livello di fusione DIFFERENZA consente di ‘isolare’ i singoli pixel che differiscono da un’immagine all’altra.

L’immagine che utilizzeremo per i nostri scopi è questa (il riquadro rosso è il ritaglio 100% che utilizzeremo per saggiare il decadimento qualitativo dell’immagine durante le varie fasi di compressione):

Andiamo a salvare il nostro file originale in 3 modi differenti (livello di compressione rispettivamente 0,6 e 12). Prendendo, come detto, il file risultante e riaprendolo come livello aggiuntivo sopra l’immagine originale (aperta direttamente dal RAW e quindi ancora virtualmente priva di ogni tipo di compressione/decadimento), applichiamo il metodo di fusione DIFFERENZA e, invertendo per comodità l’immagine risultante, andiamo ad osservare le differenze introdotte dal metodo di compressione JPEG (per comodità ho applicato all’immagine risultante anche una correzione dei livelli per evidenziare più chiaramente le differenze riscontrate).

IMPORTANTE: AD OGNI PIXEL MODIFICATO (in colore e/o luminosità) CORRISPONDERA’ UN PIXEL COLORATO NELLE IMMAGINI SOTTO RIPORTATE.

Solo le zone dell’immagine RIMASTE INVARIATE  rispetto l’immagine iniziale non compressa saranno individuate da pixel di colore BIANCO.

Livello di compressione 0 (qualità MOLTO BASSA del JPEG):

Livello di compressione 6 (qualità MEDIA del JPEG):

Livello di compressione 12 (qualità MASSIMA del JPEG):

E’ lampante, almeno con questa tecnica valutativa, come un JPEG danneggi effettivamente l’immagine di partenza (anche se, ad occhio ‘nudo’ le differenze sembrano impercettibili)… e questo CON UN SOLO SALVATAGGIO!!!

Supponendo di lavorare solamente alla massima qualità (a qualità inferiori il decadimento sarebbe facilmente ipotizzabile, anche senza il riscontro visivo), proviamo ad aprire il file salvato a qualità 12 e a risalvarlo sempre in JPEG alla stessa qualità (simulando, quindi, un nuovo salvataggio dopo una modifica effettuata su un file già salvato precedentemente sempre in JPEG).
Il risultato, compiendo gli stessi passi prima indicati, ci fa ottenere quest’immagine:

Pur se non ai livelli degli altri tipi di compressione, è evidente come il secondo salvataggio sullo stesso file (anche a qualità di compressione massima) introduca ulteriori difetti e faccia decadere ulteriormente la qualità dell’immagine.

L’unica soluzione è lavorare con formati di file non distruttivi (ad esempio il TIFF) ed usare il JPEG come ultimo passaggio e solo quando necessario (ad esempio per trasferire l’immagine sul web oppure per consegnarla al nostro fotolaboratorio per la stampa).

Nei prossimi giorni scriverò un piccolo seguito di questo articolo in cui vi spiegherò le modalità ed i campi di utilizzo del metodo di fusione DIFFERENZA, utilizzato oggi per evidenziare le trasformazioni introdotte dalla compressione JPEG.

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7 thoughts on “Quanto è distruttivo un JPEG?

  1. Bravo!
    Sapevo (e avevo personalmente controllato, con questo stesso metodo) di questo decadimento, e ho sempre scattato in RAW.
    A questo si aggiunga l’ipotesi, non ancora documentalmente controllata, che sviluppi ulteriori del software, appunto, di sviluppo, come il Camera Raw o il Capture NX, dedicato, quest’ultimo, al formato NEF di casa Nikon, possano intervenire meglio sul dato da processare rispetto sia al sw della macchina che abbiamo implicitamente utilizzato al momento dello scatto (se avessimo scattato in jpg) sia a versioni non aggiornate degli stessi sw di sviluppo.

  2. dimenticavo: utile tenerlo nel formato originario salvato nel file di photoshop come oggetto avanzato.
    Io li tengo sempre così, conoscete questa utile tecnica?
    Se interessa ve la illustro.

    🙂

  3. Grazie Claudia del tuo prezioso contributo.
    In effetti gli oggetti avanzati sono una peculiarità estremamente potente di Photoshop.
    Di norma vengono usati per livelli da modificare in maniera ‘geometrica’, con rotazioni, torsioni o elaborazioni particolarmente distruttive.
    Non ne ho fatto menzione solamente perché (utilizzando il livello base aperto da Camera Raw solo come sfondo del mio file PSD, non da modificare nei modi prima detti) non volevo mettere troppa ‘carne al fuoco’…

  4. Ottimo lavoro, Giovanni.
    In effetti credo che il formato jpeg sia giustificato, come si sa, solo nella fotografia sportiva, dove spesso non c’è tempo per troppi lavori in PP, ma altrimenti è una “comoda pigrizia mentale” dalla quale bisogna avere il coraggio di non vincolarsi troppo, per crescere.
    Dipende da cosa vogliamo dal nostro modo di fare fotografia.
    Approfitto per ricordare che anche in Linux esistono ottimi programmi per lavorare file raw proprietari, quali Ufraw per Gimp e Rawtherapy(molto apprezzato), quindi non c’è nemmeno la scusa che il Capture NX non lo si ha.

  5. Ecco finalmente mi sono ricordata come si chiama il nuovo formato delle immagini, sviluppato da Google 🙂 e che rispetto al jpg dovrebbe offrire migliore compressione (si dovrebbe poter guadagnare cca 40% meno nel peso del file) rispetto la stessa qualità dell’immagine. Si chiama WebP.
    Qui la pagina dedicata al progetto:
    http://code.google.com/speed/webp/

    Stiamo a vedere 😉

    buona giornata

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